Quello delle intolleranze e delle allergie alimentari è ancora un argomento controverso, talvolta nebuloso, che si presta a mistificazioni e ad interpretazioni quanto mai bizzarre e opinabili, spesso senza alcuna base scientifica. Eppure è un argomento di largo interesse; un gran numero di persone, a torto o a ragione, ritiene di essere vittima di una qualche reazione avversa agli alimenti, riferendo la comparsa in fase postprandiale di sintomi fastidiosi quali gonfiore e dolore addominale, borborigmi, flatulenze, diarrea.
Le reazioni avverse agli alimenti si distinguono schematicamente in tossiche e non tossiche. Le prime sono dovute a sostanze nocive contenute negli alimenti ( ad esempio le tossine dei funghi non commestibili) e sono facilmente identificabili. Quelle non tossiche possono dipendere da una qualche alterazione del sistema immunitario quali le allergie alimentari e la celiachia, oppure non essere correlate al sistema immunitario, come le intolleranze alimentari.
Questa distinzione fra le varie entità cliniche, che sembra così semplice, nella pratica clinica viene scarsamente riconosciuta. A complicare le cose contribuisce anche il fatto che i sintomi di intolleranze ed allergie alimentari sono spesso sovrapponibili a quelli della sindrome dell’intestino irritabile, per cui non è sempre facile districarsi fra le possibili diagnosi che pure comportano differenti approcci terapeutici.
In realtà le allergie alimentari sono solo quelle in cui entra in gioco il sistema immunitario attraverso la produzione di una certa classe di anticorpi, le IgE , che vanno ad interagire con alimenti peraltro normali ma riconosciuti come pericolosi, da cui l’organismo sente il bisogno di difendersi. Il tipo di reazione nei confronti degli allergeni alimentari è quindi identica a quella che sappiamo svilupparsi contro gli allergeni ambientali. Per fortuna le allergie alimentari sono rare (1-2% della popolazione) e facilmente diagnosticabili perché insorgono pressoché immediatamente dopo l’assunzione di un determinato cibo con un corteo sintomatologico comune a tutte le allergie: orticaria, prurito, gonfiore delle labbra, difficoltà respiratorie, asma ed anche sintomi gastrointestinali come diarrea e/o vomito. Raramente si arriva a sintomi sistemici gravi quali lo shock anafilattico. Quello che orienta la diagnosi è soprattutto il fatto che i sintomi gastrointestinali non sono mai soli ma si associano a quelli respiratori, cutanei, sistemici. Nell’adulto gli alimenti più spesso coinvolti in queste reazioni sono arachidi, frutta secca, crostacei, molluschi, pesce ed uova.
Le allergie alimentari si diagnosticano non solo in base alla sintomatologia e all’anamnesi da cui risulta spesso la presenza contemporanea o precedente di altre manifestazioni allergiche, ma anche ricercando gli anticorpi specifici, le IgE sia nel sangue attraverso i cosiddetti RAST alimentari, sia a livello cutaneo mediante gli Skin Prick test, con cui si testano i singoli alimenti, meglio se freschi (Prick by Prick).
Un discorso a parte merita l’allergia al nichel, metallo molto diffuso nell’ambente e presente in numerosi alimenti, che, come può determinare una dermatite da contatto se entra in rapporto con la cute, altrettanto può provocare una mucosite da contatto quando ingerito. I sintomi sono quelli dell’intestino irritabile: gonfiore, dolore, diarrea. Per documentare tale allergia si ricorre ad una prova cutanea, il Patch test cutaneo.
Le intolleranze alimentari invece sono reazioni in cui non entra in gioco il sistema immunitario. Sono molto più frequenti delle allergie e si manifestano solitamente in modo più sfumato e in tempi meno ravvicinati rispetto al pasto. Si distinguono classicamente in enzimatiche, farmacologiche e da additivi.
Le intolleranze enzimatiche sono quelle di gran lunga più importanti dal punto di vista pratico, e specie quella causata da deficit di lattasi risulta particolarmente frequente riguardando fino al 70-80% della popolazione. Si tratta di un deficit solitamente congenito che aumenta col crescere dell’età , ma che può essere anche acquisito ( in seguito a enteriti, morbo di Crohn, resezioni intestinali, assunzione di farmaci, ecc). In questo secondo caso si tratta di una condizione reversibile che si risolve se viene ripristinata l’integrità della mucosa intestinale.
La lattasi è un enzima che sta nell’intestino ed ha la funzione di scindere il lattosio, uno zucchero contenuto nel latte, in glucosio e galattosio, monosaccaridi che vengono così facilmente assorbiti dalle cellule della mucosa tenuale. Se questo enzima manca o è insufficiente il lattosio rimane indigerito nel lume intestinale, richiama acqua nel lume intestinale perché è osmoticamente attivo provocando diarrea e, quando giunge nel colon, viene fermentato dai batteri intestinali per cui si sviluppa gas, donde il gonfiore ed il dolore addominale.
Dal punto di vista diagnostico, per quanto riguarda le intolleranze bisogna stare attenti a non sottoporsi a test fasulli, senza alcun fondamento scientifico, che portano all’esclusione di un gran numero di alimenti senza motivo. Gli unici test attendibili sono quelli del respiro (H2 Breath test), semplici, poco costosi, non invasivi e ripetibili.
L’H2 Breath test al lattosio si basa sulla somministrazione per os di 20-25 grammi di lattosio. Se manca la lattasi, tale zucchero arriva indigerito nel colon dove viene fermentato e si produce idrogeno (H2) che viene assorbito dalla parete intestinale , entra nel circolo ematico e a livello alveolare passa dai capillari polmonari nell’aria espirata. Per cui maggiore è la quantità di H2 nell’aria espirata, minore è la disponibilità di lattasi e quindi più elevata è l’intolleranza al lattosio.
Una volta posta la diagnosi di intolleranza al lattosio non è sempre necessario eliminare drasticamente tutti i prodotti che lo contengono. A volte è possibile individuare la quantità di lattosio che può essere tollerata senza scatenare i sintomi. Da rammentare poi che alcuni formaggi come il parmigiano contengono pochissimo lattosio e che è ormai disponibile in commercio una vasta gamma di alimenti delattosati. In caso di abolizione totale e protratta del latte e dei derivati può rendersi necessaria un’integrazione con sali di calcio.
Intolleranze alimentari analoghe a quella al lattosio anche se non sono propriamente dovute a deficit enzimatici ma piuttosto a disturbi dell’assorbimento, sono quelle al fruttosio e al sorbitolo , che pure possono essere indagate con gli H2 Breath test. Fruttosio e sorbitolo sono presenti soprattutto nella frutta e sono largamente usati come dolcificanti ipocalorici. Il sorbitolo in particolare è usato nella produzione dei chewing-gum e caramelle senza zucchero e bevande light. Quando non vengono adeguatamente assorbiti la loro permanenza nel lume intestinale produce gli stessi effetti del lattosio indigerito, in quanto trattengono acqua e vengono sottoposti a fermentazione da parte della flora batterica colica con produzione di gas.
Le intolleranze alimentari cosiddette “farmacologiche” si manifestano in soggetti che hanno una reattività particolare a determinate molecole contenute in alcuni cibi. Si tratta di alimenti ricchi di amine vasoattive come l’istamina: cioccolata, crostacei, uova, carne di maiale, fragole, ananas, papaya, pomodori ecc. I sintomi vanno da reazioni dermatologiche tipo orticaria o angioedema fino alle più rare reazioni anafilattiche, mentre a carico dell’apparato digerente si possono avere dolori addominali e diarrea. Le intolleranze farmacologiche vengono definite anche come reazioni pseudoallergiche perché esistono molte somiglianze a livello clinico con le allergie mediate dagli anticorpi specifici (IgE). D’altra parte la sintomatologia delle intolleranze alimentari è sempre dose-correlata e questo aiuta nella distinzione dalle allergie vere nelle quali i sintomi sono scatenati già dall’assunzione di piccole quantità dell’ alimento responsabile.
Infine esistono intolleranze causate da alcuni additivi , specie solfiti e glutammato, che comprendono in generale coloranti, conservanti, aromi naturali e artificiali, esaltatori di sapidità, antiossidanti . Per la verità non è ancora chiaro se in questo caso si tratti di intolleranza o di allergia. Oltretutto sono reazioni avverse molto difficili da documentare per la diffusa presenza di tali sostanze nei cibi più disparati.
Viene comunemente e impropriamente definita come intolleranza alimentare anche la celiachia. In realtà si tratta di una vera e propria malattia autoimmune, primariamente localizzata nell’intestino tenue ma di natura sistemica, scatenata dall’ingestione di glutine nei soggetti geneticamente predisposti , essendo il glutine la componente proteica contenuta in alcuni cerali quali grano, orzo e segale. La diagnosi di celiachia è sia sierologica che istologica, basandosi sulla ricerca nel sangue di determinati autoanticorpi quali le anti-transglutaminasi e sulla conferma istologica mediante biopsie duodenali per via endoscopica. In casi dubbi può essere di ausilio anche la diagnosi genetica mediante lo studio del sistema di istocompatibilità HLA, soprattutto per il suo elevato valore predittivo negativo. Nel caso della celiachia a tutt’oggi l’unica terapia possibile è una dieta rigorosamente priva di glutine.
Invece un’entità che pare assimilabile ad una intolleranza alimentare è la cosiddetta ipersensibilità al glutine (“gluten sensitivity”) che è quella condizione in cui in a seguito dell’ingestione di glutine si presentano sintomi in buona parte sovrapponibili a quelli della celiachia in soggetti non celiaci e non allergici al grano.
La diagnosi di gluten sensitivity rimane una diagnosi di esclusione, caratterizzata cioè sia dalla negatività dei test per l’allergia al grano, sia dalla negatività della sierologia e della istologia tipiche per celiachia.